Il discorso è tenuto da S. E. Mons. Alessandro D'Errico presso
l'Accademia Bonifaciana di Anagni in occasione del Premio Bonifacio
VIII.
Discorso:
"L'
importante Premio Internazionale Bonifacio VIII, per il contributo
alla promozione di una cultura di dialogo, pace e armonia tra i
popoli e le religioni in Bosnia ed Erzegovina" (Anagni,
9 dicembre 2011)
Eminenza,
Eccellenze,
Caro Presidente e cari Accademici,
Distinte
Autorità,
Signore
e Signori
Sono
grato all’Accademia Bonifaciana per aver voluto pensare anche a me
come persona meritevole dell’importante Premio Internazionale
Bonifacio VIII, per il modesto contributo che ho potuto dare in
Bosnia ed Erzegovina alla promozione di una cultura di dialogo, pace
e armonia tra i popoli e le religioni. Un ringraziamento particolare
sento il dovere di esprimere al Presidente, Cav. Dott. Sante De
Angelis; al Presidente del Comitato Scientifico, l’Ecc.mo e
venerato Mons. Franco Croci, che oggi con noi ricorda il 50mo
anniversario della sua Ordinazione Sacerdotale; al Presidente della
Giuria, Dott.ssa Ilva Sapora; e a tutti coloro che hanno contribuito
alla preparazione di questa nona edizione del Premio. Saluto
rispettosamente il Vescovo, Mons. Lorenzo Loppa; il Sindaco, Dott.
Carlo Noto; le Autorità civili e militari presenti; tutti voi, cari
amici, che con la vostra partecipazione rendete ancora più
significativa questa cerimonia.
Come
sempre mi succede in simili circostanze, alla notizia che mi si
voleva conferire quest’ambito riconoscimento, sono rimasto un po’
sorpreso e un po’ imbarazzato. Alla fine, mi sono detto che non
avevo altra scelta, e che dovevo accettare, perché penso che questo
riconoscimento non sia dato tanto alla mia persona, ma alla missione
che la Nunziatura Apostolica cerca di svolgere in BiH, a nome della
Santa Sede.
Com’è
stato ricordato oggi, sono a Sarajevo dal mese di febbraio 2006.
L’annuncio del mio trasferimento dal Pakistan avvenne il 21
novembre 2005; e cioè, nel giorno del decimo anniversario della
firma dell’Accordo di Dayton, che nel 1995 aveva finalmente chiuso
la pagina drammatica della guerra fratricida tra serbi, bosgnacchi e
croati. Sin dal mio arrivo in Bosnia ed Erzegovina, ho potuto
costatare che in questi anni è stato fatto molto, in termini di
ricostruzione materiale e morale. Tuttavia, mi rendo conto ogni
giorno di più che, sotto la cenere, il fuoco è ancora vivo: nel
senso che le ferite della guerra recente non sono completamente
rimarginate, e molte questioni sono ancora aperte, con gravi
interrogativi per il futuro del Paese.
Tradizionalmente
la BiH è un singolare punto d’incontro di popoli, civiltà e
religioni. Da ciò che ho potuto sperimentare negli anni scorsi, sono
convinto che questo incontro di civiltà porti a ricchezza di
tradizioni, di cultura e di storia; ma può portare anche a notevoli
tensioni. Come in epoca recente, quando gli eventi della guerra
causarono tanta distruzione e grandi sofferenze. O come in questi
mesi, per la complessa situazione politica che si è creata dopo le
elezioni del mese di ottobre dello scorso anno.
A
mio parere, l’Accordo di Dayton ha avuto il merito di fermare la
guerra. Ma questo era solo un punto d’inizio. Ora, nel contesto
delle tensioni che ancora persistono, mi sforzo di ripetere che
sarebbe ormai tempo di pensare seriamente a come costruire la pace. O
meglio, a come costruire una pace giusta: una pace che garantisca, ai
cittadini e ai popoli costitutivi, di vivere in armonia sociale, e di
avere un ruolo nel Paese al meglio delle loro possibilità.
Ebbene,
per giungere a tale auspicata meta, sono convinto che, oggi
soprattutto, in BiH ci sia bisogno di dialogo, e non di soluzioni
imposte con la legge del più forte. C’è bisogno soprattutto di un
dialogo che privilegi ciò che c’è in comune, anziché ciò che
divide. Un dialogo che manifesti il sincero desiderio di lavorare
insieme, e camminare insieme, con tutte le persone di buona volontà,
in un’atmosfera di fiducia reciproca e di comune impegno per il
futuro del Paese.
Mi
rendo conto che questo non è facile, perché gli eventi del recente
passato - quelli della guerra - sono ancora vivi nella memoria dei
singoli e delle comunità. Questa è la grande sfida. Perciò,
insieme al Card. Vinko Puljic e ai Vescovi della Conferenza
Episcopale, cerchiamo di richiamare l’attenzione di tutti sul fatto
che bisogna anzitutto “purificare la memoria”. Bisognerebbe avere
il coraggio e la determinazione di chiudere con il passato della
guerra, e di mettere da parte i pregiudizi e i sospetti, che ancora
persistono nelle relazioni tra i singoli e i popoli costitutivi.
Personalmente
ho fiducia in questo Paese, e ho fiducia nella gente di questo Paese.
Anzi mi dispiace quando talvolta sento che qualcuno vorrebbe di nuovo
mettere in discussione l’unità della Bosnia ed Erzegovina. A mio
avviso, sarebbe assai meglio se tutti si mettessero all’opera con
spirito nuovo e con sincerità d’intenzioni, per trovare le giuste
soluzioni alle questioni che bisogna affrontare, anziché restare
ancora divisi con barriere e steccati ereditati dal passato.
Distinte
Autorità, Signore e Signori,
In
questo premio che oggi mi è conferito dall’Accademia Bonifaciana,
e nel vostro interessamento per la BiH, trovo la conferma di un
personale convincimento. E cioè: se durante gli anni scorsi la
Nunziatura Apostolica ha potuto vedere anche qualche frutto del suo
lavoro - tra l’altro, due Accordi tra la Santa Sede e la BiH,
e un altro con il Montenegro - ciò è stato possibile perché
abbiamo trovato accoglienza cordiale e prezioso sostegno presso tante
persone di buona volontà, oltre che sincera disponibilità a
parecchi livelli. Questo ci sostiene e ci incoraggia ad andare avanti
con lo stesso impegno e con lo stesso entusiasmo, nonostante i
momenti di prova che talvolta si presentano. Il mio augurio, la mia
speranza, la mia preghiera, è che - con il contributo di tutti - in
BiH di nuovo possano finalmente prevalere il dialogo e l’armonia
sociale; e che magari l’Accademia Bonifaciana possa intraprendere
opportune iniziative sociali ed umanitarie anche in questo
travagliato Paese dei Balcani, come ha fatto in Libano, in Kosovo e
in Albania.
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