mercoledì 20 giugno 2012

Attualità di un discorso per la promozione della cultura del dialogo

Il discorso è tenuto da S. E. Mons. Alessandro D'Errico presso l'Accademia Bonifaciana di Anagni in occasione del Premio Bonifacio VIII. 

Discorso:
"L' importante Premio Internazionale Bonifacio VIII, per il contributo alla promozione di una cultura di dialogo, pace e armonia tra i popoli e le religioni in Bosnia ed Erzegovina" (Anagni, 9 dicembre 2011)

Eminenza,
Eccellenze,
Caro Presidente e cari Accademici,
Distinte Autorità,
Signore e Signori
Sono grato all’Accademia Bonifaciana per aver voluto pensare anche a me come persona meritevole dell’importante Premio Internazionale Bonifacio VIII, per il modesto contributo che ho potuto dare in Bosnia ed Erzegovina alla promozione di una cultura di dialogo, pace e armonia tra i popoli e le religioni. Un ringraziamento particolare sento il dovere di esprimere al Presidente, Cav. Dott. Sante De Angelis; al Presidente del Comitato Scientifico, l’Ecc.mo e venerato Mons. Franco Croci, che oggi con noi ricorda il 50mo anniversario della sua Ordinazione Sacerdotale; al Presidente della Giuria, Dott.ssa Ilva Sapora; e a tutti coloro che hanno contribuito alla preparazione di questa nona edizione del Premio. Saluto rispettosamente il Vescovo, Mons. Lorenzo Loppa; il Sindaco, Dott. Carlo Noto; le Autorità civili e militari presenti; tutti voi, cari amici, che con la vostra partecipazione rendete ancora più significativa questa cerimonia.
Come sempre mi succede in simili circostanze, alla notizia che mi si voleva conferire quest’ambito riconoscimento, sono rimasto un po’ sorpreso e un po’ imbarazzato. Alla fine, mi sono detto che non avevo altra scelta, e che dovevo accettare, perché penso che questo riconoscimento non sia dato tanto alla mia persona, ma alla missione che la Nunziatura Apostolica cerca di svolgere in BiH, a nome della Santa Sede.
Com’è stato ricordato oggi, sono a Sarajevo dal mese di febbraio 2006. L’annuncio del mio trasferimento dal Pakistan avvenne il 21 novembre 2005; e cioè, nel giorno del decimo anniversario della firma dell’Accordo di Dayton, che nel 1995 aveva finalmente chiuso la pagina drammatica della guerra fratricida tra serbi, bosgnacchi e croati. Sin dal mio arrivo in Bosnia ed Erzegovina, ho potuto costatare che in questi anni è stato fatto molto, in termini di ricostruzione materiale e morale. Tuttavia, mi rendo conto ogni giorno di più che, sotto la cenere, il fuoco è ancora vivo: nel senso che le ferite della guerra recente non sono completamente rimarginate, e molte questioni sono ancora aperte, con gravi interrogativi per il futuro del Paese.
Tradizionalmente la BiH è un singolare punto d’incontro di popoli, civiltà e religioni. Da ciò che ho potuto sperimentare negli anni scorsi, sono convinto che questo incontro di civiltà porti a ricchezza di tradizioni, di cultura e di storia; ma può portare anche a notevoli tensioni. Come in epoca recente, quando gli eventi della guerra causarono tanta distruzione e grandi sofferenze. O come in questi mesi, per la complessa situazione politica che si è creata dopo le elezioni del mese di ottobre dello scorso anno.
A mio parere, l’Accordo di Dayton ha avuto il merito di fermare la guerra. Ma questo era solo un punto d’inizio. Ora, nel contesto delle tensioni che ancora persistono, mi sforzo di ripetere che sarebbe ormai tempo di pensare seriamente a come costruire la pace. O meglio, a come costruire una pace giusta: una pace che garantisca, ai cittadini e ai popoli costitutivi, di vivere in armonia sociale, e di avere un ruolo nel Paese al meglio delle loro possibilità.
Ebbene, per giungere a tale auspicata meta, sono convinto che, oggi soprattutto, in BiH ci sia bisogno di dialogo, e non di soluzioni imposte con la legge del più forte. C’è bisogno soprattutto di un dialogo che privilegi ciò che c’è in comune, anziché ciò che divide. Un dialogo che manifesti il sincero desiderio di lavorare insieme, e camminare insieme, con tutte le persone di buona volontà, in un’atmosfera di fiducia reciproca e di comune impegno per il futuro del Paese.
Mi rendo conto che questo non è facile, perché gli eventi del recente passato - quelli della guerra - sono ancora vivi nella memoria dei singoli e delle comunità. Questa è la grande sfida. Perciò, insieme al Card. Vinko Puljic e ai Vescovi della Conferenza Episcopale, cerchiamo di richiamare l’attenzione di tutti sul fatto che bisogna anzitutto “purificare la memoria”. Bisognerebbe avere il coraggio e la determinazione di chiudere con il passato della guerra, e di mettere da parte i pregiudizi e i sospetti, che ancora persistono nelle relazioni tra i singoli e i popoli costitutivi.
Personalmente ho fiducia in questo Paese, e ho fiducia nella gente di questo Paese. Anzi mi dispiace quando talvolta sento che qualcuno vorrebbe di nuovo mettere in discussione l’unità della Bosnia ed Erzegovina. A mio avviso, sarebbe assai meglio se tutti si mettessero all’opera con spirito nuovo e con sincerità d’intenzioni, per trovare le giuste soluzioni alle questioni che bisogna affrontare, anziché restare ancora divisi con barriere e steccati ereditati dal passato.
Distinte Autorità, Signore e Signori,
In questo premio che oggi mi è conferito dall’Accademia Bonifaciana, e nel vostro interessamento per la BiH, trovo la conferma di un personale convincimento. E cioè: se durante gli anni scorsi la Nunziatura Apostolica ha potuto vedere anche qualche frutto del suo lavoro - tra l’altro,  due Accordi tra la Santa Sede e la BiH, e un altro con il Montenegro - ciò è stato possibile perché abbiamo trovato accoglienza cordiale e prezioso sostegno presso tante persone di buona volontà, oltre che sincera disponibilità a parecchi livelli. Questo ci sostiene e ci incoraggia ad andare avanti con lo stesso impegno e con lo stesso entusiasmo, nonostante i momenti di prova che talvolta si presentano. Il mio augurio, la mia speranza, la mia preghiera, è che - con il contributo di tutti - in BiH di nuovo possano finalmente prevalere il dialogo e l’armonia sociale; e che magari l’Accademia Bonifaciana possa intraprendere opportune iniziative sociali ed umanitarie anche in questo travagliato Paese dei Balcani, come ha fatto in Libano, in Kosovo e in Albania.

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