Un
libro sorto nel cuore del Magistero della Chiesa che contribuisce a
delineare i tratti contemporanei della Diplomazia Pontificia ed offre
una contestualizzazione storico-dottrinaria nella quale si possono ritrovare anche molti sensi e riferimenti dell'opera pastorale e diplomatica di S. E.
Alessandro D'Errico, Nunzio Apostolico in Croazia. Appaiono in essi
temi, infatti, come la Tradizione Diplomatica della Chiesa, il Dialogo
Interreligioso, l'Integrazione Europea e l'entrata della Croazia
nella UE, che siamo abituati a considerare seguendo e descrivendo le
attività di Mons. D'Errico fin dai tempi del suo ministero in
Pakistan e in Bosnia-Erzegovina.
Si
tratta del libro del cardinale Tarcisio Bertone intitolato “La
diplomazia pontificia in un mondo globalizzato”, edito dalla
Libreria Editrice Vaticana, presentato Martedì 12 novembre 2013
nell’Aula Nuova del Sinodo in Vaticano. Il volume è dotato della
prefazione di Papa Francesco nella quale, accanto alla testimonianza
per l'opera svolta dal Cardinale Segretario di Stato, egli esprime lo
spirito ecclesiale e la forza crescente del suo magistero circa la
Diplomazia della Santa Sede.
Alla
presentazione, insieme con il Cardinale Bertone, hanno partecipato
con qualificati interventi mons. Dominique Mamberti, segretario per i
Rapporti con gli Stati, Hans-Gert Poettering, già presidente del
parlamento europeo e presidente della Fondazione Adenauer, e il prof.
Vincenzo Buonomo, docente di diritto internazionale e curatore del
testo. L’incontro è stato moderato da padre Federico Lombardi,
direttore della Sala Stampa Vaticana.
In
particolare il Cardinale ha voluto sottolineare “la pastoralità
dell'azione diplomatica” e descrivere “il ricco e travagliato
settennato” vissuto insieme con Benedetto XVI come Segretario di
Stato del Vaticano, la cui funzione egli ha così descritto: “Direi
che la funzione di segretario di Stato, erede di una antica e
peculiare tradizione, diventata dopo il Concilio Vaticano II tanto
diversa e lontana dalla cosiddetta 'monarchia papale', è quella di
essere collaboratore, consigliere e strumento fedele di una missione
che viene dall’alto e che si incarna nella variegata e originale
personalità dei distinti Successori di Pietro".
Egli
ha poi espresso gratitudine per le parole che il Santo Padre
Francesco ha scritto per lui nella prefazione: “la storia, la cui
misura è la verità della croce, renderà evidente l’intensa
azione del cardinale Bertone”.
Il
cardinale ha poi concluso con un sincero augurio al suo successore,
mons. Pietro Parolin.
Mons.
Dominique Mamberti ha rimarcato il ruolo della Diplomazia della Santa
Sede e le peculiarità delle funzioni dei Pontefici, dei Segretari di
Stato, e dei Rappresentanti Pontifici.
Hans-Gert
Poettering ha parlato dell'integrazione europea sottolineando il
contributo della Curia Romana per la realizzazione di una prospettiva
di democrazia e di condivisione di una etica forte significativamente
riferita ai valori religiosi e cristiani.
Vincenzo
Buonomo ha sottolineato il forte e costante impegno della Chiesa e
della Diplomazia Pontificia per il bene comune, giustizia libertà e
dignità della persona, dei popoli e delle comunità.
Padre
Lombardi ha chiuso l'incontro descrivendo i contenuti del libro, che
riporta decine di interventi del Cardinale Bertone, evidenziando di
questi “la tempra piemontese” condivisa con papa Bergoglio, e
rinnovandogli “stima e gratitudine per il servizio grandissimo e
generoso che ha svolto per la Chiesa”.
Di
seguito riporto il testo della Prefazione scritta da Papa Francesco,
che è peraltro interamente leggibile sul portale della Radio
Vaticana raggiungibile con il link segnalato.
Sfida
per il futuro
Con
questo volume, il cardinale Tarcisio Bertone consegna a coloro che
sono impegnati nel servizio diplomatico della Santa Sede, e non solo,
un'abbondante serie di riflessioni sulle principali questioni che
riguardano la vita della comunità delle Nazioni e toccano da vicino
le aspirazioni più profonde della famiglia umana: la pace, lo
sviluppo, i diritti umani, la libertà religiosa, l'integrazione
sovranazionale.
Per la diplomazia pontificia, poi, si tratta
di preziose indicazioni che consentono di coglierne l'unicità, ad
iniziare dalla figura del diplomatico, sacerdote e pastore, chiamato
ad un'azione che, pur mantenendo il rigoroso profilo istituzionale, è
impregnata di afflato pastorale; azione che del cardinale Bertone ha
caratterizzato il settennato di servizio come segretario di Stato, a
sostegno generoso e fedele del pontificato di Benedetto XVI. Il suo
servizio al vertice, sia nella sfera più amministrativa della Curia
romana, sia in quella dei rapporti internazionali della Santa Sede,
si è opportunamente prolungato durante i primi mesi del mio
pontificato. La sua pacata e matura esperienza di servitore della
Chiesa ha aiutato anche me, chiamato alla sede di Pietro da un Paese
lontano, nell'avvio di un insieme di relazioni istituzionali doverose
per un Pontefice.
L'incontro con la figura del cardinale
Tarcisio Bertone, nota per il suo ruolo e la sua personalità
gioviale, ha avuto per me, nel passato, tre particolari momenti.
Ricordo anzitutto il primo approccio alla Torre San Giovanni in
Vaticano l'11 gennaio 2007 dove sono stato in visita con la
Presidenza della Conferenza Episcopale argentina: uno scambio molto
sereno e nello stesso tempo assai costruttivo sui problemi che allora
ci assillavano. Quando nel 2007, egli si è recato in Argentina come
Legato pontificio per la celebrazione della beatificazione di
Zeffirino Namuncurá, il suo tratto fraterno nell'incontrare i
vescovi della Conferenza episcopale, l'affabilità tutta salesiana
nel trattare con la gente dopo ogni celebrazione pubblica, avevano
riscosso il mio interesse e la mia ammirazione. Il cardinale Bertone,
nei suoi colloqui con le maggiori istanze politiche della nazione
aveva sottolineato l'apporto della Chiesa nella pacificazione e
riconciliazione, necessari per rigenerare il tessuto sociale lacerato
da tante situazioni che avevano messo in pericolo la concordia
nazionale, e con ciò aveva dato un prezioso sostegno all'opera
intrapresa dall'episcopato argentino per ricostruire il tessuto
etico, sociale e istituzionale del Paese.
Qualche mese prima
dello stesso anno aveva avuto luogo in Brasile la V Conferenza
generale dell'episcopato latinoamericano e dei Caraibi (9-14 maggio
2007) alla quale ho partecipato in qualità di primate della Chiesa
di Argentina. Lì trovai il cardinale Bertone, che accompagnava Papa
Benedetto XVI, interessato non solo agli aspetti ecclesiali salienti,
ma alla dimensione sociale e culturale presentati nel documento
finale e affidati in primo luogo alle comunità ecclesiali
latino-americane.
Un interesse che riappare scorrendo
l'insieme dei suoi interventi pronunciati in diverse aree
geografiche, rivolti sia all'interno della Chiesa e delle sue
strutture, sia di fronte alle istanze politiche dei diversi Stati e a
pubblici eterogenei.
Ci si accorge subito di un'attenzione
rivolta alla crisi che stiamo vivendo, globale e complessa, che rende
concreta l'idea di un mondo senza confini. La crisi, però, se è una
certezza per tutti, ci interroga sulle scelte sin qui fatte e sulla
direzione che in futuro intendiamo seguire, richiamando la
responsabilità delle persone e delle istituzioni per eliminare le
tante barriere che hanno sostituito i confini: disuguaglianze, corsa
agli armamenti, sottosviluppo, violazione dei diritti fondamentali,
discriminazioni, impedimenti alla vita sociale, culturale, religiosa.
Questo domanda una riflessione realistica non solo sul nostro
piccolo mondo quotidiano, ma anche sulla natura dei legami che
uniscono la comunità internazionale e delle tensioni presenti al suo
interno. Lo sa bene l'azione della diplomazia che attraverso i suoi
protagonisti, le sue regole e i suoi metodi è strumento concorrente
alla costruzione del bene comune, chiamato anzitutto a leggere i
fatti internazionali, che è poi un modo di interpretare la realtà.
Questa realtà siamo noi, la famiglia umana in movimento, quasi
un'opera in continua costruzione che include il luogo e il tempo in
cui si incarna la nostra storia di donne e di uomini, di comunità,
di popoli. La diplomazia è, dunque, un servizio, non un'attività
ostaggio di interessi particolari dei quali guerre, conflitti interni
e forme diverse di violenza sono la logica, ma amara, conseguenza; né
strumento delle esigenze di pochi che escludono le maggioranze,
generano povertà ed emarginazione, tollerano ogni genere di
corruzione, producono privilegi e ingiustizie.
La crisi
profonda di convinzioni, di valori, di idee offre all'attività
diplomatica una nuova opportunità, che è allo stesso tempo una
sfida. La sfida di concorrere a realizzare tra i diversi popoli delle
nuove relazioni veramente giuste e solidali per cui ogni Nazione e
tutte le persone siano rispettate nella loro identità e dignità, e
promosse nella loro libertà. In tal modo i diversi Paesi avranno
modo di progettare il loro avvenire, così come le persone potranno
scegliere i modi per realizzare le loro aspirazioni di creature fatte
a immagine del creatore.
In questa fase storica la comunità
internazionale, le sue regole e le sue istituzioni si trovano,
infatti, obbligate a scegliere una direzione che riprenda le loro
rispettive radici costitutive e porti la famiglia umana verso un
futuro che non solo parli il linguaggio della pace e dello sviluppo,
ma sia capace nei fatti di includere tutti, evitando che qualcuno
resti ai margini. Questo significa superare l'attuale situazione
nella vita degli Stati e in quella internazionale che vede l'assenza
di convinzioni forti e di programmi sul lungo periodo intrecciarsi
con la profonda crisi di quei valori che da sempre fondano i legami
sociali.
Di fronte a questa globalizzazione negativa che è
paralizzante, la diplomazia è chiamata a intraprendere un compito di
ricostruzione riscoprendo la sua dimensione profetica, determinando
quella che potremo chiamare utopia del bene, e se necessario
rivendicandola. Non si tratta di abbandonare quel sano realismo che
di ogni diplomatico è una virtù non una tecnica, ma di superare il
dominio del contingente, il limite di un'azione pragmatica che spesso
ha il sapore dell'involuzione. Un modo di pensare e di agire che, se
prevale, limita qualsiasi azione sociale e politica e impedisce la
costruzione del bene comune.
La vera utopia del bene, che non
è un'ideologia né sola filantropia, attraverso l'azione diplomatica
può esprimere e consolidare quella fraternità presente nelle radici
della famiglia umana e da lì chiamata a crescere, a espandersi per
dare i suoi frutti.
Una diplomazia rinnovata significa diplomatici
nuovi, e cioè capaci di ridare alla vita internazionale il senso
della comunità rompendo la logica dell'individualismo, della
competizione sleale, del desiderio di primeggiare, promuovendo
piuttosto un'etica della solidarietà capace di sostituire quella
della potenza, ormai ridotta ad un modello di pensiero per
giustificare la forza. Proprio quella forza che contribuisce a
spezzare i legami sociali e strutturali tra i diversi popoli, e allo
stesso tempo a distruggere i vincoli che legano ognuno di noi ad
altre persone fino al punto di condividere lo stesso destino. La
direzione che prenderanno i rapporti internazionali sarà allora
legata all'immagine che abbiamo dell'altro: persona, popolo,
Stato.
Ecco la chiave della rinascita di quella unità tra i
popoli che fa sue le differenze senza ignorare gli elementi storici,
politici, religiosi, biologici, psicologici e sociali che sono
espressione di diversità. Anche di fronte a limiti, condizionamenti,
ostacoli è possibile fondere e integrare i comportamenti, i valori e
le regole che si sono andati costituendo nel tempo.
La
prospettiva cristiana sa valutare sia ciò che è autenticamente
umano sia quanto scaturisce dalla libertà della persona, dalla sua
apertura al nuovo, in definitiva dal suo spirito che unisce la
dimensione umana alla dimensione trascendente. Questo è uno dei
contributi che la diplomazia pontificia offre all'umanità intera,
operando per far rinascere la dimensione morale nei rapporti
internazionali, quella che permette alla famiglia umana di vivere e
svilupparsi assieme, senza diventare nemici gli uni degli altri. Se
l'uomo manifesta la sua umanità nella comunicazione, nella
relazione, nell'amore verso i propri simili, le diverse Nazioni
possono legarsi intorno a obiettivi e pratiche condivise, e generare
così un sentire comune ben radicato. Ancora di più possono dar vita
a istituzioni unitarie in seno alla comunità internazionale, capaci
di compiere un servizio senza che ciò neghi l'identità, la dignità
e la libertà responsabile di ogni Paese. Il servizio di queste
istituzioni sarà di chinarsi davanti al bisogno dei diversi popoli,
scoprendo cioè le capacità e le necessità dell'altro. È il
rifiuto dell'indifferenza o di una cooperazione internazionale frutto
dell'egoismo utilitaristico, per fare invece attraverso organi comuni
qualcosa per gli altri.
Il servizio così, non è
semplicemente un impegno etico o una forma di volontariato, né un
obiettivo ideale, ma una scelta frutto di un vincolo sociale basato
su quell'amore capace di costruire una nuova umanità, un nuovo modo
di vivere. Non sarà facendo prevalere la ragion di Stato o
l'individualismo che elimineremo i conflitti o daremo ai diritti
della persona la giusta collocazione. Il diritto più importante di
un popolo e di una persona non sta nel non essere impedito di
realizzare le proprie aspirazioni, bensì nel realizzarle
effettivamente e integralmente. Non basta evitare l'ingiustizia, se
non si promuove la giustizia. Non è sufficiente proteggere i bambini
dall'abbandono, dagli abusi e dai maltrattamenti, se non si educano i
giovani ad un amore pieno e gratuito per l'esistenza umana nelle sue
diverse fasi, se non si danno alle famiglie tutte le risorse di cui
hanno bisogno per compiere la loro imprescindibile missione, se non
si favorisce in tutta la società un atteggiamento di accoglienza e
di amore per la vita di tutti e di ciascuno dei suoi membri.
Una
comunità degli Stati matura sarà quella in cui la libertà dei suoi
membri è pienamente responsabile della libertà degli altri, sulla
base dell'amore che è solidarietà operante. Questa, però, non è
qualcosa che cresce spontaneamente, ma implica la necessità di
investire lavoro, pazienza, impegno quotidiano, sincerità, umiltà,
professionalità. Non è questa la via maestra che la diplomazia è
chiamata a percorrere in questo XXI secolo?
Sono tanti e
pregnanti gli spunti di questo lavoro che dimostra quanto il
cardinale Bertone abbia saputo presentare l'annuncio evangelico, i
valori e le grandi istanze della dottrina della Chiesa, in conformità
con le linee portanti del magistero di Benedetto XVI, con
quell'equilibrio e quella sobrietà necessari a favorire una cultura
del dialogo, propria della Santa Sede.
Il metro della vita
dei servitori della Chiesa non è dettato da quel "stampare una
notizia a grandi lettere, perché la gente pensi che sia
indiscutibilmente vera" (Jorge Luis Borges), anzi è intessuto,
pur nei limiti inerenti alla condizione e possibilità di ciascuno,
dalla silenziosa e generosa dedizione al bene autentico del corpo di
Cristo e al servizio duraturo della causa dell'uomo. Perciò la
storia, la cui misura è la verità della croce, renderà evidente
l'intensa azione del cardinale Bertone, che ha dimostrato anche di
avere la tempra piemontese del gran lavoratore che non lesina nelle
fatiche nel promuovere il bene della Chiesa, preparato culturalmente
e intellettualmente e animato da una serena forza interiore che
ricorda la parola dell'apostolo delle genti: "Di null'altro mai
ci glorieremo se non della Croce di Gesù Cristo, nostro Signore:
egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione; per mezzo di Lui
siamo stati salvati e liberati" (Galati, 6, 14).
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