L'assemblea
del Corpo Diplomatico della Santa Sede, convocata per il 21 e il 22
giugno 2013 nell'ambito delle celebrazioni dell'Anno della Fede, si è
svolta alla presenza di papa Francesco e con un calendario ricco di
significativi incontri svolti in Vaticano e in altri luoghi della
Roma cristiana.
I
Nunzi Apostolici di tutto il mondo, in un clima di fraternità e
comunione, hanno potuto accogliere le esortazioni spirituali e
recepire le linee pastorali indicate dal Pontefice per il loro
ministero di rappresentanti della Chiesa nei vari luoghi della terra.
La
prima giornata si è svolta tra il Vaticano e la Basilica papale di
San Paolo fuori le mura. In mattinata i 150 Nunzi Apostolici sono
stati ricevuti in udienza da Papa Francesco che ha rivolto loro un
discorso nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico. Al pomeriggio
i Nunzi hanno partecipato all'adorazione eucaristica nella Basilica
di San Paolo, presieduta dal cardinale arciprete titolare James
Harvey, ed hanno vissuto un momento di meditazione sviluppato con le
riflessioni del cardinale Gianfranco Ravasi. Sono stati poi in
preghiera sulla tomba dell'Apostolo delle genti ed hanno visitato
l'area archeologica della basilica. In serata i Nunzi Apostolici sono
rientrati in Vaticano ed hanno cenato con papa Francesco
nell'ambiente cinquecentesco del cortile ovale della Casina Pio IV,
sede della Pontificia Accademia della Scienze.
La
seconda giornata si è svolta interamente in Vaticano. In mattinata i
Nunzi Apostolici hanno concelebrato l'Eucaristia presieduta dal
cardinale Tarcisio Bertone nella Cappella del Coro della Basilica di
San Pietro. Hanno poi realizzato un incontro di lavoro con la
Segreteria di Stato e con i superiori responsabili, fino all'ora di
pranzo che si è tenuto nella Casa Santa Marta.
Un
fuori programma della giornata si è avuto con il protrarsi degli
incontri personali con il Pontefice, il quale ha dovuto rinunciare
alla presenza al Concerto delle 17.30 organizzato in suo onore nella
Sala Paolo VI.
Ai
Nunzi Apostolici presenti a Roma papa Francesco ha fatto dono di una
croce d'argento.
A
Mons. D'Errico, Nunzio Apostolico in Croazia, è toccato anche il
privilegio della bella foto di questo post che lo ritrae nello scambio intenso e
cordiale con il pontefice.
I
Nunzi Apostolici rimasti a Roma anche la domenica 23 giugno hanno
partecipato alla Santa Messa celebrata al mattino dal Papa nella
Cappella della Casa Santa Marta.
Sul
portale della Santa Sede, e sui vari network vaticanisti collegati
compresa la testata di L'Osservatore Romano, è possibile accedere
agli approfondimenti e ai commenti utili per la conoscenza dello
svolgimento delle giornate e delle tematiche dei discorsi del
magistero.
La
lettura diretta del discorso scritto di suo pugno ai Nunzi
Apostolici, sullo stile e sul senso della loro missione di
rappresentanti pontifici presso le varie comunità ecclesiali e le
varie nazioni della terra, ci trasmette l'importanza etica ed il
valore spirituale assunto dal magistero pastorale di papa Francesco
per l'attualizzazione della testimonianza cristiana e dell'annuncio
del Vangelo nelle problematiche sociali e personali vissute nel mondo
d'oggi.
Cosi
anche le parole del cardinale Bertone, rivolte ai Nunzi Apostolici
durante l'omelia del 22 giugno, hanno voluto rimarcare i riferimenti
di papa Francesco e hanno indicato la necessità di ispirarsi
all'esempio dei Santi Pietro e Paolo, di cui si celebra la memoria
liturgica il prossimo 29 giugno:
“Sabato 29 giugno
celebreremo la solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo.
Guardando a queste due colonne della Chiesa ci accorgiamo sempre più
che la radice della fede e la sorgente della missione della Chiesa
consistono anzitutto nell’amicizia con il Signore Gesù. Pietro e
Paolo sono stati testimoni credibili del Vangelo poiché erano
soprattutto autentici amici di Cristo, pronti a dare la vita per Lui.
Ecco in che cosa consiste la testimonianza cristiana, ecco ciò che
il Signore attende anche da noi: essere suoi amici, amarlo sopra ogni
cosa e nulla mai anteporre al suo amore”.
DISCORSO
DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALLE GIORNATE DEDICATE AI RAPPRESENTANTI PONTIFICI
AI PARTECIPANTI ALLE GIORNATE DEDICATE AI RAPPRESENTANTI PONTIFICI
Sala
Clementina
Venerdì, 21 giugno 2013
Venerdì, 21 giugno 2013
Cari Confratelli,
queste giornate, nell’Anno
della fede, sono un’occasione che il Signore offre per pregare
insieme, per riflettere insieme e per vivere un momento fraterno.
Ringrazio il Cardinale Bertone per le parole che mi ha rivolto a nome
di tutti, ma vorrei ringraziare ciascuno di voi per il vostro
servizio che mi aiuta nella sollecitudine per tutte le Chiese, in
quel ministero di unità che è centrale per il Successore di Pietro.
Voi mi rappresentate nelle Chiese sparse in tutto il mondo e presso i
Governi, ma vedervi oggi così numerosi mi dà anche il senso della
cattolicità della Chiesa, del suo respiro universale. Grazie di vero
cuore! Il vostro lavoro è un lavoro – la parola che mi viene è
“importante”, ma è una parola formale – ; il vostro lavoro è
più che importante, è un lavoro di fare la Chiesa, di costruire la
Chiesa. Fra le Chiese particolari e la Chiesa universale, tra i
Vescovi e il Vescovo di Roma. Non siete intermediari, piuttosto siete
mediatori, che con la mediazione fate la comunione. Alcuni teologi
studiando l’ecclesiologia, parlano di Chiesa locale e dicono che i
Rappresentanti Pontifici e i Presidenti delle Conferenze Episcopali
fanno una Chiesa locale che non è di istituzione divina, è
organizzativa ma aiuta ad andare avanti la Chiesa. E il lavoro più
importante è quello della mediazione, e per mediare è necessario
conoscere. Non conoscere soltanto le carte – che è molto
importante leggere carte e sono tante – ma conoscere le persone.
Perciò io considero che il rapporto personale tra il Vescovo di Roma
e voi sia una cosa essenziale. È vero c’è la Segreteria di Stato
che ci aiuta, ma quest’ultimo punto, il rapporto personale, è
importante. E dobbiamo farlo, da ambedue le parti.
Ho pensato a questa
riunione e vi offro dei semplici pensieri su alcuni aspetti, direi
esistenziali, del vostro essere Rappresentanti Pontifici. Sono cose
sulle quali ho riflettuto nel mio cuore, soprattutto pensando di
mettermi accanto a ciascuno di voi. In questo incontro, non vorrei
dirvi parole meramente formali o parole di circostanza; farebbero
male a tutti, a voi e a me. Quello che vi dico adesso viene dal di
dentro, ve lo assicuro, e mi sta a cuore.
1. Anzitutto vorrei
sottolineare che la vostra è una vita di nomadi. L’ho pensato
tante volte: poveri uomini! Ogni tre, quattro anni per i
Collaboratori, un po’ di più per i Nunzi, voi cambiate posto,
passate da un Continente all’altro, da un Paese all’altro, da una
realtà di Chiesa ad un’altra, spesso molto diversa; siete sempre
con la valigia in mano. Mi pongo la domanda: che cosa dice a tutti
noi questa vita? Che senso spirituale ha? Direi che dà il senso del
cammino, che è centrale nella vita di fede, a iniziare da Abramo,
uomo di fede in cammino: Dio gli chiede di lasciare la sua terra, le
sue sicurezze, per andare, affidandosi a una promessa, che non vede,
ma che conserva semplicemente nel cuore come speranza che Dio gli
offre (cfr Gen 12,1-9). E questo comporta due elementi, a mio
parere. Anzitutto la mortificazione, perché davvero, andare con la
valigia in mano è una mortificazione, il sacrificio di spogliarsi di
cose, di amici, di legami e iniziare sempre di nuovo. E questo non è
facile; è vivere nel provvisorio, uscendo da se stessi, senza avere
un luogo dove mettere radici, una comunità stabile, eppure amando la
Chiesa e il Paese che siete chiamati a servire. Un secondo aspetto
che comporta questo essere nomadi, sempre in cammino, è quello che
ci viene descritto nel capitolo undicesimo della Lettera agli
Ebrei. Elencando gli esempi di fede dei padri, l’autore afferma che
essi videro i beni promessi e li salutarono da lontano - è bella
questa icona -, dichiarando di essere pellegrini su questa terra (cfr
11,13). E’ un grande merito una vita così, una vita come la
vostra, quando si vive con l’intensità dell’amore, con la
memoria operante della prima chiamata.
2. Vorrei fermarmi un
momento sull’aspetto di “guardare da lontano”, guardare le
promesse da lontano, salutarle da lontano. Che cosa guardavano da
lontano i padri dell’Antico Testamento? I beni promessi da Dio.
Ciascuno di noi si può domandare: qual è la mia promessa? A che
cosa guardo? Che cosa cerco nella vita? Quello che la memoria
fondante ci spinge a cercare è il Signore, Lui è il bene promesso.
Questo non deve sembrarci mai qualcosa di scontato. Il 25 aprile
1951, in un celebre discorso, l’allora Sostituto della Segreteria
di Stato, Mons. Montini, ricordava che la figura del Rappresentante
Pontificio «è quella di uno che ha veramente la coscienza di
portare Cristo con sé», come il bene prezioso da comunicare, da
annunciare, da rappresentare. I beni, le prospettive di questo mondo
finiscono per deludere, spingono a non accontentarsi mai; il Signore
è il bene che non delude, l'unico che non delude. E questo esige un
distacco da se stessi che si può raggiungere solo con un costante
rapporto con il Signore e l’unificazione della vita attorno a
Cristo. E questo si chiama familiarità con Gesù. La familiarità
con Gesù Cristo dev’essere l’alimento quotidiano del
Rappresentante Pontificio, perché è l’alimento che nasce dalla
memoria del primo incontro con Lui e perché costituisce anche
l’espressione quotidiana di fedeltà alla sua chiamata. Familiarità
con Gesù Cristo nella preghiera, nella Celebrazione eucaristica, da
non tralasciare mai, nel servizio della carità.
3. C’è sempre il
pericolo, anche per gli uomini di Chiesa, di cedere a quella che io
chiamo, riprendendo un’espressione di De Lubac, la “mondanità
spirituale”: cedere allo spirito del mondo, che conduce ad agire
per la propria realizzazione e non per la gloria di Dio (cfr
Meditazione sulla Chiesa, Milano 1979, p. 269), a quella sorta
di “borghesia dello spirito e della vita” che spinge ad
adagiarsi, a ricercare una vita comoda e tranquilla. Agli Alunni
della Pontificia Accademia Ecclesiastica ho ricordato come per il
beato Giovanni XXIII, il servizio quale Rappresentante Pontificio sia
stato uno degli ambiti, e non secondario, in cui prese forma la sua
santità, e citavo alcuni passaggi del Giornale dell’Anima
che si riferivano proprio a questo lungo tratto del suo ministero.
Egli affermava di avere compreso sempre di più che, per l’efficacia
della sua azione, doveva potare continuamente la vigna della sua vita
da ciò che è solo fogliame inutile e andare diritto all’essenziale,
che è Cristo e il suo Vangelo, altrimenti si rischia di volgere al
ridicolo una missione santa (Giornale dell’Anima, Cinisello
Balsamo 2000, pp. 513-514). E’ una parola forte questa del
ridicolo, ma è vera: cedere allo spirito mondano espone soprattutto
noi Pastori al ridicolo; potremo forse ricevere qualche applauso, ma
quelli stessi che sembreranno approvarci, poi ci criticheranno alle
spalle. Questa è una regola comune.
Ma noi siamo Pastori! E
questo non lo dobbiamo dimenticare mai! Voi, cari Rappresentanti
Pontifici, siete presenza di Cristo, siete presenza sacerdotale, di
Pastori. Certo, non insegnerete ad una porzione particolare del
Popolo di Dio che vi è stata affidata, non sarete a guida di una
Chiesa locale, ma siete Pastori che servono la Chiesa, con ruolo di
incoraggiare, di essere ministri di comunione, e anche con il
compito, non sempre facile, del richiamare. Fate sempre tutto con
profondo amore! Anche nei rapporti con le Autorità civili e i
Colleghi voi siete Pastori: ricercate sempre il bene, il bene di
tutti, il bene della Chiesa e di ogni persona. Ma questo lavoro
pastorale, come ho detto, si fa con la familiarità con Gesù Cristo
nella preghiera, nella Celebrazione eucaristica, nelle opere di
carità: lì è presente il Signore. Ma da parte vostra si deve fare
anche con professionalità, e sarà come il vostro – mi viene da
dire una parola – il vostro cilicio, la vostra penitenza: fare
sempre con professionalità le cose, perché la Chiesa vi vuole così.
E quando un Rappresentante Pontificio non fa le cose con
professionalità, perde anche autorità.
Vorrei concludere dicendo
anche una parola su uno dei punti importanti del vostro servizio come
Rappresentanti Pontifici, almeno per la stragrande maggioranza: la
collaborazione alle provviste episcopali. Voi conoscete la celebre
espressione che indica un criterio fondamentale nella scelta di chi
deve governare: si sanctus est oret pro nobis, si doctus est
doceat nos, si prudens est regat nos - se è Santo preghi per
noi, se è dotto ci insegni, se è prudente ci governi. Nel delicato
compito di realizzare l’indagine per le nomine episcopali siate
attenti che i candidati siano Pastori vicini alla gente: questo è il
primo criterio. Pastori vicini alla gente. E’ un gran teologo, una
grande testa: che vada all’Università, dove farà tanto bene!.
Pastori! Ne abbiamo bisogno! Che siano, padri e fratelli, siano miti,
pazienti e misericordiosi; che amino la povertà, interiore come
libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e
austerità di vita, che non abbiano una psicologia da “Principi”.
Siate attenti che non siano ambiziosi, che non ricerchino
l’episcopato; si dice che il Beato Giovanni
Paolo II in una prima udienza che aveva avuto con il Cardinale
Prefetto della Congregazione dei Vescovi, questi gli ha fatto la
domanda sul criterio di scelta dei candidati all’Episcopato e il
Papa con la sua voce particolare: «Il primo criterio: volentes
nolumus». Quelli che ricercano l’Episcopato… no, non va. E
che siano sposi di una Chiesa, senza essere in costante ricerca di
un’altra. Siano capaci di “sorvegliare” il gregge che sarà
loro affidato, di avere cioè cura per tutto ciò che lo mantiene
unito; di “vigilare” su di esso, di avere attenzione per i
pericoli che lo minacciano; ma soprattutto siano capaci di “vegliare”
per il gregge, di fare la veglia, di curare la speranza, che ci sia
sole e luce nei cuori, di sostenere con amore e con pazienza i
disegni che Dio attua nel suo popolo. Pensiamo alla figura di san
Giuseppe che veglia su Maria e Gesù, alla sua cura per la famiglia
che Dio gli ha affidato, e allo sguardo attento con cui la guida
nell’evitare i pericoli. Per questo i Pastori sappiano essere
davanti al gregge per indicare la strada, in mezzo al gregge per
mantenerlo unito, dietro al gregge per evitare che qualcuno rimanga
indietro e perché lo stesso gregge ha, per così dire, il fiuto nel
trovare la strada. Il pastore deve muoversi così!
Cari Rappresentanti
Pontifici, sono solo alcuni pensieri, che mi vengono dal cuore, ho
pensato tanto prima di scrivere questo: questo l’ho scritto io! Ho
pensato tanto e ho pregato. Questi pensieri mi vengono dal cuore, con
i quali non pretendo di dire cose nuove - no, nessuna delle cose che
ho detto è nuova - ma sui quali vi invito a riflettere per il
servizio importante e prezioso che prestate a tutta la Chiesa. La
vostra è una vita spesso difficile, a volte in luoghi di conflitto –
lo so bene: ho parlato con uno di voi in questo tempo, due volte.
Quanto dolore, quanta sofferenza! Un continuo pellegrinaggio senza la
possibilità di mettere radici in un posto, in una cultura, in una
specifica realtà ecclesiale. Ma è una vita che cammina verso le
promesse e le saluta da lontano. Una vita in cammino, ma sempre con
Gesù Cristo che vi tiene per mano. Questo è sicuro: Lui vi tiene
per mano. Grazie ancora per questo! Noi sappiamo che la nostra
stabilità non sta nelle cose, nei propri progetti o nelle ambizioni,
ma nell’essere veri Pastori che tengono fisso lo sguardo su Cristo.
Ancora una volta grazie! Per favore, vi chiedo di pregare per me,
perché ne ho bisogno. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi
custodisca. Grazie.
Da
RispondiEliminaAntonio Anatriello, facebook 21 giugno 2013:
Non penso di peccare di partigianeria se, nelle parole che Papa Bergoglio ha rivolto ai Nunzi Apostolici, ravviso gli aspetti essenziali dello STILE ‘PASTORALE’col quale svolge da anni il suo ruolo l’amico ARCIVESCOVO ALESSANDRO D’ERRICO, NUNZIO APOSTOLICO IN CROAZIA (e prima in Bosnia Erzegovina e Montenegro). Rallegrandomene, riporto qualcosa di quel che il Papa detto: “siete Pastori che servono la Chiesa, con ruolo di incoraggiare, di essere ministri di comunione…Fate sempre tutto con profondo amore! Anche nei rapporti con le Autorità civili e i Colleghi voi siete Pastori: ricercate sempre il bene, il bene di tutti, il bene della Chiesa e di ogni persona”…