Il
31 Agosto 2013 Papa Francesco ha nominato l'Arcivescovo Pietro
Parolin Segretario di Stato del Vaticano, dopo aver accettato le
dimissioni del Cardinale Tarcisio Bertone. Subito dopo l'annuncio
ufficiale, dato dalla Radio Vaticana e dall'Ufficio Stampa della
Santa Sede, nel “villaggio globale” della comunicazione è
iniziato il tam tam dei media mondiali (giornali, emittenti
radiotelevisive, portali e blog della rete, religiosi, laici e
vaticanisti) per comunicare e rilanciare la mole ingente e svariata
delle impressioni, delle valutazioni e dei significati legati alla
nomina e alla personalità (sacerdotale e diplomatica) di Mons.
Parolin che finora ha operato come Nunzio Apostolico in Venezuela.
A
partire dalle prime informazioni contenute nella breve scheda
biografica e nel curriculum vitae, ufficialmente diramate
dalle fonti ecclesiastiche della Santa Sede, e dalle prime
dichiarazioni personali comunicate dalla sede della Nunziatura di
Caracas, si sono fortemente sviluppati un dibattito ed una ricerca
tesi ad evidenziare il percorso ministeriale finora realizzato da
Mons. Parolin insieme con la complessità delle problematiche che
egli andrà ad affrontare nel suo nuovo ruolo.
Appare
abbastanza unanime l'impressione positiva suscitata dai “talenti”
di Mons. Parolin, nominato nel 2002 Sottosegretario dei Rapporti
con gli Stati da Giovanni Paolo II e nel 2009 Nunzio Apostolico
da Benedetto XVI, il quale a 58 anni diviene il Segretario di Stato
più giovane dai tempi di Papa Pacelli. In primis tra questi
talenti viene annotata la spiritualità, vissuta nello stile
pastorale propugnato da papa Francesco, che si accompagna alla lunga
esperienza diplomatica e alla capacità di dialogo interculturale; e
poi l'impegno costante nel lavoro, nella comunicazione e
nell'approfondimento sapienziale delle tematiche che riguardano il
suo ministero, commisurato con positivi risultati, nell'ottica
ecclesiale, ottenuti nel vasto campo della geopolitica e delle
relazioni internazionali. I media, e i vaticanisti più accreditati,
pongono in risalto le delegazioni e gli interventi svolti, e
comunicati in qualificati simposi e conferenze, da mons. Parolin con
l'obiettivo di dotare la Chiesa di Roma di opportunità, di procedure
e di attività di dialogo con le aree e le culture critiche del
pianeta, dall'Africa all'Estremo Oriente e alle Americhe. Gli
interventi evidenziati riguardano, ad esempio, i rapporti tra Stato e
Chiesa in Cina, i dossier sui rapporti tra Santa Sede e Vietnam, le
relazioni giuridiche con Israele.
Per
definire ed approfondire meglio ancora l'operatività e lo studio di
Mons. Parolin alcune importanti testate e portali di consultazione in
rete hanno cominciato anche a pubblicare e a linkare taluni
tra i suoi interventi più significativi (Pasqua 2007 in Vietnam,
Conferenza Generale AIEA 2006). E così, cercando di leggere
in anticipo le caratteristiche che avrà l'opera futura del nuovo
Segretario di Stato, gli osservatori hanno prefigurato un modus
operandi (cfr. vaticanisider.la stampa.it) che, nel solco
della migliore tradizione diplomatica della Chiesa, consentirà alla
Santa Sede di “offrire
ancora il suo contributo di saggezza e lungimiranza per favorire i
cammini della pace”.
La
carrellata mediatica degli approfondimenti e delle riflessioni,
avviata dalla notizia della nomina e delle scelte operate da Papa
Francesco per la Segreteria di Stato, per molti versi appare lunga ed
esaustiva nelle inquadrature retrospettive dell'opera internazionale
svolta da Mons. Parolin; e tende ad individuare le prospettive e le
caratteristiche degli scenari più critici ed impegnativi, in
particolare quelli europei e mediorientali riguardanti la coesistenza
di confessioni cristiane diverse e i rapporti interreligiosi con
l'Islam e l'Ebraismo. Sono scenari che, insieme con quelli delle
emergenze delle cosiddette 'periferie povere' del mondo, sono già
aperti e si aprono ancora di fronte alla diplomazia vaticana che va a
confrontarsi nel dialogo con le diversità economiche, nazionali,
religiose ed etniche.
In
questo senso un contributo alla focalizzazione di un tratto
importante del percorso svolto da Mons. Parolin - “sacerdote e
fine diplomatico che si muove nello spirito della conversione
pastorale indicato da Papa Francesco ai Nunzi Apostolici di tutto il
mondo” (Mons. D'Errico) – può venire anche da questo blog
“Chiesa e Diplomazia” che segue le attività del ministero
pastorale del Nunzio Apostolico in Croazia.
L'opera
ecclesiale e diplomatica di Mons. D'Errico, svolta a livello
internazionale e con la titolarità delle Nunziature Apostoliche in
Pakistan, in Bosnia-Erzegovina, in Montenegro, e attualmente in
Croazia, appare in effetti come un rispecchiamento delle istanze di
spiritualità, di dialogo e di pastoralità, legate dal Pontefice
alla nomina del nuovo Segretario di Stato; e moltissime sono le
espressioni e le simbiosi che si possono cogliere in questo senso. Ne
proponiamo una in particolare, rilevabile nel luogo d'incontro
sinergico, recente e significativo dal punto di vista
spirituale-ecclesiale e dal punto di vista culturale-diplomatico,
dell'opera di Mons. D'Errico con l'opera di Mons. Parolin:
l'interscambio di un magistero della Diplomazia della Santa Sede e di
una comune visione spirituale della Chiesa che si può leggere in una
relazione di Parolin pubblicata nel libro “Diplomazia e Servizio
Pastorale” stampato nel 2009 con la prefazione del cardinale
Vinko Pulic, Arcivescovo di Sarajevo, per celebrare il decennale del
Nunzio.
La
relazione fu letta nel maggio 2009 alla Conferenza organizzata
dall'Ateneo fondato dai Domenicani a Roma (Angelicum
- Pontificia Università Teologica “S. Tommaso D'Aquino”)
sul tema “The
Holy See & the States of Post-Communist Europe”.
Mons. Parolin sviluppò l'argomento dell'Accordo di Base tra la Santa
Sede e la Bosnia-Erzegovina, che era stato sottoscritto da Mons.
D'Errico come rappresentante pontificio,
ed intitolò il suo intervento: “The
Basic Agreement Between the Holy See and Bosnia and Herzegovina, in
Relation to the Orthodox and Muslim Communities”.
Con
il Nunzio consenziente, proponiamo di seguito il testo della
relazione alla lettura integrale in italiano.
L’Accordo
di Base tra la Santa Sede e la Bosnia ed Erzegovina
in
rapporto alle Comunità Ortodossa e Musulmana
(Conferenza
del Rev.mo Mons. Pietro Parolin,
allora
Sotto-Segretario dei Rapporti della Santa Sede con gli Stati,
alla
Pontificia Università San Tommaso d’Aquino)
Roma,
27 maggio 2009.
Ringrazio
vivamente gli organizzatori per l’invito a partecipare a questo
convegno su “The Holy See and the States of Post-Communist
Europe. Key Aspects of their
Relations Twenty Years after the Fall of the Berlin Wall”
e rivolgo un deferente e cordiale saluto a tutti i
partecipanti.
Mi
è stato chiesto di intervenire su “The
Basic Agreement of the Holy See with Bosnia and Herzegovina, in
relation to the Orthodox and Muslim Communities”.
Com’è
noto, la Santa Sede stipula Accordi bilaterali con gli Stati per
assicurare, a livello di diritto internazionale, un quadro giuridico
adeguato per la presenza e le attività delle comunità cattoliche
locali. Al riguardo, mi sembra utile aggiungere due osservazioni
generali:
1) Ben lungi dall’assistere a quel “tramonto dei
concordati” pronosticato da numerose teorie dopo il Concilio
Vaticano II, siamo stati testimoni negli ultimi decenni di una
“rifioritura dell’attività pattizia” della Santa Sede. Se nel
quarantennio che va dal 1950 al 1989 sono stati stipulati 85 Accordi
(nelle diverse forme di Concordati, Accordi-quadro, Protocolli, Note
reversali, Modus Vivendi, Avenant, ecc.), con una media di 19 Accordi
per ogni decade, nella sola ultima decade del secolo, dal ’90 al
2000, se ne registrano quasi una cinquantina e il ritmo è continuato
anche nella decade in corso.
2) Inoltre, l’attività pattizia della Santa Sede
ha mutato area geografica. Nel quarantennio che va dal ’50 al
2000, essa ha interessato principalmente l’Europa occidentale (56)
e l’America Latina (20), mentre in seguito si è spostata
nell’Europa centro-orientale, cioè nei Paesi già facenti parte
del blocco socialista. Ed in effetti, il trapasso dal regime
comunista a quello democratico ha richiesto una precisa rifondazione
dell’assetto giuridico degli Stati: nuove Costituzioni, nuovi
Codici civili, penali, commerciali e processuali, come pure una nuova
impostazione dell’atteggiamento verso il fattore religioso e, in
particolare, verso le istituzioni e le comunità religiose
organizzate. Ciascun ordinamento, quindi, ha cercato di ridefinire i
propri rapporti con le confessioni religiose.
In
tale orizzonte si colloca “L’Accordo di Base tra la Santa Sede
e la Bosnia ed Erzegovina” (firmato il 19 aprile 2006), con il
relativo “Protocollo addizionale” (firmato il 29 settembre
2006), entrambi entrati in vigore il 25 ottobre 2007. Quest’Accordo,
tenendo conto della composizione multietnica e multireligiosa della
Bosnia ed Erzegovina, è importante anche per i rapporti della Chiesa
Cattolica con la Comunità ortodossa e con la Comunità musulmana.
Questa
relazione si articola in tre parti. Nella prima presento la
situazione storica recente delle comunità religiose in Bosnia ed
Erzegovina, nel contesto di quella realtà politica e sociale. Nella
seconda parte cerco di ripercorrere le fasi più importanti del
processo di preparazione, firma, ratifica e applicazione dell’Accordo
di Base e del relativo Protocollo Addizionale. Nella terza mi
soffermo sul significato dell’Accordo in senso ecumenico e
interreligioso.
I
Dal
comunismo – attraverso la guerra - verso la democrazia.
In
tutti i Paesi dell’Europa a regime comunista, in conseguenza
dell’ideologia marxista secondo cui la religione era vista come
“affare privato” e – secondo la ben nota espressione –
come“oppio del popolo”, era in vigore la prassi della
separazione ostile o “separazione ateista” tra Stato e
Comunità religiose. Essa ha comportato la più totale emarginazione
del fenomeno religioso rispetto alla realtà sociale e quasi la sua
riduzione alla clandestinità – dal momento che lo Stato comunista
cercava di ridurre ai minimi termini la presenza delle Chiesa perfino
nella vita privata dei cittadini – e si è tradotta nel più
vistoso tentativo di scristianizzazione compiuto da uno Stato
totalitario nell’epoca contemporanea. L’esperienza del
separatismo ateista di derivazione sovietica fu esportato ed imposto
anche nei Paesi dell’est europeo nel secondo dopoguerra (con la
formazione del blocco politico- militare dei cosiddetti Stati
socialisti), anche se non con gli stessi caratteri e lo stesso rigore
assunti nell’URSS. I regimi ponevano, comunque, molti limiti
all’esistenza e alle attività delle Comunità religiose, non
raramente anche con persecuzioni e, di conseguenza, anche la libertà
religiosa dei singoli cittadini era molto coartata, se non del tutto
eliminata. Tale era la situazione anche in Bosnia ed Erzegovina, una
delle Repubbliche della ex-Jugoslavia socialista. Soprattutto nei
primi decenni dopo la seconda guerra mondiale, il regime era alquanto
rigido: molti religiosi e fedeli di tutte le religioni furono
perseguitati, incarcerati o uccisi; i beni furono nazionalizzati; le
scuole e la stampa gestite dalle Comunità religiose furono proibite,
ecc. In una fase successiva, durante l’ultimo decennio del regime
comunista, la posizione delle Comunità religiose migliorò un poco,
grazie alla “legge sulla posizione giuridica delle comunità
religiose” del 1976; tuttavia lo Stato non abbandonò la
propria posizione sostanzialmente ostile.
Dopo
il periodo comunista, nel 1992, in Bosnia ed Erzegovina sopravvenne
purtroppo la triste realtà della guerra fratricida, terminata
soltanto alla fine del 1995 con l’Accordo di Pace di Dayton. In
questo periodo di scontro, la religione non raramente fu manipolata,
e qualche volta anche invocata come mezzo per identificare il nemico.
Naturalmente, molte ragioni favorivano simili prese di posizione, e
in particolare il fatto che, caduto il regime comunista, quella
società si trovò improvvisamente a dover affrontare la guerra,
ancor prima di aver potuto organizzarsi con leggi democratiche, e
aver risolto almeno alcuni dei problemi più importanti.
Dopo
l’Accordo di Dayton emerse una nuova realtà politica, intesa a
incamminare la Bosnia ed Erzegovina sulla via della democrazia e del
rispetto dei diritti umani. Il Paese voleva chiudere definitivamente
con il passato comunista e favorire il ritorno ad una pacifica
convivenza tra le componenti etnico-religiose. Evidentemente a
livello legale questo era possibile soltanto attraverso un lungo
processo legislativo, in grado di dotare il Paese di nuovi strumenti
normativi. Perciò non è da meravigliarsi che fino a poco tempo fa
fossero ancora in vigore, almeno formalmente, parecchie leggi del
vecchio regime.
Questo
mutamento di situazione politica, leggi e prassi quotidiana, da una
parte, permette l’applicazione dei principi e delle regole di
democrazia, e contribuisce alla costruzione dell’armonia sociale;
dall’altra, giova molto al processo di integrazione europea della
Bosnia ed Erzegovina. Questa è la grande aspirazione di oggi della
Bosnia ed Erzegovina, che per la sua storia è sempre appartenuta
all’Europa, come peraltro disse il Segretario di Stato, il
Cardinale Tarcisio Bertone, in occasione dello scambio degli
strumenti di ratifica dell’Accordo di Base tra la Santa Sede e la
Bosnia ed Erzegovina.
In
questo contesto, l’Accordo assume particolare rilevanza. Esso non
solo è importante, ma ha anche un significato “storico” –
com’è stato detto da più parti; non solo è un segno ulteriore
della particolare sollecitudine della Santa Sede per la Comunità
cattolica locale, tanto provata nella sua storia recente, ma
evidenzia anche che le Autorità di Bosnia ed Erzegovina vogliono
battere una strada “nuova”, secondo principi democratici
riconosciuti a livello internazionale; in particolare è la conferma
che esse intendono dare la giusta rilevanza al principio della
libertà religiosa, per giungere anche per questa via alla tanto
desiderata e necessaria armonia sociale nel Paese.
II
Preparazione,
firma, ratifica e applicazione
dell’Accordo
di Base e del Protocollo Addizionale.
Il
riconoscimento dell’indipendenza politica della Bosnia ed
Erzegovina da parte della Comunità internazionale avvenne nel 1992.
Grazie alla sollecitudine di Giovanni Paolo II, la Santa Sede fu tra
i primi a stabilire relazioni diplomatiche con la Bosnia ed
Erzegovina, nominando all’inizio un Nunzio Apostolico non
residente, per passare successivamente, nel periodo del dopoguerra,
alla nomina di un Nunzio residente.
I lavori preparatori
sull’Accordo
Poco
dopo la prima visita di Giovanni Paolo II in Bosnia ed Erzegovina
(del 1997, a Sarajevo), nacque l’idea di un Accordo con la Santa
Sede, che potesse offrire un quadro giuridico di base per le attività
della Chiesa Cattolica locale.
L’anno
2002 segna una tappa importante. Di comune accordo furono costituite
due Commissioni, una ecclesiastica e una governativa, con l’incarico
di preparare una bozza di Accordo. La Commissione ecclesiastica era
guidata dall’allora Nunzio Apostolico in Bosnia ed Erzegovina,
l’Arcivescovo Giuseppe Leanza (ora Nunzio Apostolico in Irlanda);
la Commissione governativa era guidata dal Sig. Ivica Mišić, già
Vice-Ministro degli Affari Esteri e allora Ambasciatore di Bosnia ed
Erzegovina presso la Santa Sede.
Le
due Commissioni conclusero i lavori il 18 dicembre 2002, con una
proposta che fu presentata alle rispettive autorità competenti. Si
sperava di poter firmare l’Accordo sei mesi dopo, in occasione
della visita di Giovanni Paolo II a Banja Luka del 23 giugno 2003.
Ciò non fu possibile per le perplessità avanzate da alcuni ambienti
politici e religiosi. Le difficoltà non riguardavano tanto il
contenuto del testo proposto, quanto piuttosto il dubbio che un
Accordo con la Santa Sede potesse favorire o privilegiare la Chiesa
Cattolica in uno Stato multireligioso e multietnico. Intanto, nel
2003 l’Arcivescovo Santos Abril y Castelló era succeduto
all’Arcivescovo Leanza come Nunzio Apostolico in Bosnia ed
Erzegovina.
La legge sulla libertà
religiosa
Parallelamente
all’iter dell’Accordo, presso i competenti Uffici dello
Stato era in corso l’elaborazione di una “Legge sulla libertà
religiosa e sullo stato giuridico delle Comunità religiose in Bosnia
ed Erzegovina”. La circostanza, tenendo conto anche delle già
ricordate perplessità, consigliò di rimandare i lavori sull’Accordo
con la Santa Sede a un tempo successivo alla promulgazione di tale
legge. Essa entrò in vigore a metà marzo del 2004.
La ripresa dei
negoziati
Dal marzo
2004 a più riprese e in diversi modi si cercò di rispondere ai
dubbi che erano stati sollevati in precedenza circa la opportunità
di un Accordo con la Santa Sede. In particolare furono sottolineati
seguenti punti:
a) L’Accordo doveva essere visto nell’interesse del
Paese, poiché poteva offrire a livello internazionale un’immagine
positiva e democratica della Bosnia ed Erzegovina, uscita da una
dittatura comunista che ostacolava l’esercizio della libertà
religiosa, e da una guerra nella quale anche la diversa appartenenza
religiosa non raramente era stata invocata per confrontarsi e
combattersi.
b) L’Accordo non si opponeva, ma poteva rappresentare
uno sviluppo ed una ulteriore garanzia giuridica rispetto alla legge
sulle Comunità religiose, mediante la quale la Bosnia ed Erzegovina
si era impegnata a riconoscere e a rispettare la libertà religiosa
di ogni singolo cittadino, ed il principio di uguaglianza davanti
alla legge delle tre Confessioni religiose costitutive del Paese
(Islam, Ortodossia e Cattolicesimo).
c) Neppure il principio di uguaglianza dei tre popoli
costitutivi si opponeva all’Accordo, perché esso impone un
differenziato trattamento giuridico nel caso di fattispecie
giuridiche differenti. L’Autorità alla quale fa capo la Chiesa
Cattolica è anche un soggetto di diritto internazionale, cioè la
Santa Sede, per cui il rapporto bilaterale si può esprimere anche
nella forma di un Accordo internazionale.
d) Tali presupposti, e la necessità di stabilire un
quadro giuridico adeguato per il reale esercizio dei diritti dei
cittadini nell’ambito religioso, hanno portato parecchi Paesi
vicini, nei quali la questione religiosa ora si è normalizzata, a
firmare simili Accordi con la Santa Sede.
Fu
così costituito un Gruppo di Lavoro governativo, che nel mese di
febbraio del 2006 presentò al Consiglio dei Ministri una proposta di
Accordo con la Santa Sede, molto simile a quella del 2002.
Il
nuovo Nunzio Apostolico, l’Arcivescovo Alessandro D’Errico
(nominato alla fine del 2005), in diverse occasioni – sia nei
contatti con le più alte autorità, sia in interventi pubblici –
insistette su alcuni punti perché si superassero le perplessità che
ancora restavano in alcuni ambienti: a) la Santa Sede non chiede
privilegi, ma desidera soltanto – con un trattato
internazionale, com’è nella sua tradizione - regolare
giuridicamente le attività della Chiesa cattolica; b) inoltre, essa
si augura che simili Accordi possano essere firmati presto anche con
altre Comunità religiose, nel rispetto dell’uguaglianza dei tre
popoli costitutivi, ed anche per favorire la necessaria armonia
sociale ed il dialogo ecumenico e interreligioso.
La firma dell’Accordo
Il
Consiglio dei Ministri approvò la bozza di Accordo il 21 febbraio
2006; due giorni dopo la stessa bozza, con poche varianti, fu
approvata anche nella Presidenza Collegiale.
Per
la soluzione delle ultime difficoltà contribuirono molto due altri
elementi. Anzitutto l’impegno profuso dal Sig. Ivo Miro Jović nel
corso del suo mandato di Presidente di turno della Presidenza
Collegiale (otto mesi, fino alla fine di febbraio 2006). Poi, la
visita in Vaticano del nuovo Presidente di turno della Presidenza
Collegiale, il Sig. Sulejman Tihić, alla fine di marzo 2006: nei
suoi incontri con il Santo Padre Benedetto XVI e l’allora
Segretario di Stato, Card. Angelo Sodano, si discusse anche
dell’Accordo e furono apportati gli ultimi ritocchi.
Inizialmente
si pensava ad un testo in quattro versioni autentiche (italiana,
croata, bosniaca e serba). Nella fase finale delle trattative però,
per evitare in futuro eventuali problemi d’interpretazione, fu
accettata la proposta della Santa Sede che il testo autentico
dell’Accordo fosse redatto solo in inglese, secondo la possibilità
offerta dalla legge della Bosnia ed Erzegovina sulla procedura di
stipulazione e di applicazione dei Trattati internazionali.
L’Accordo
di Base tra la Santa Sede e la Bosnia ed Erzegovina fu firmato al
Palazzo Presidenziale di Sarajevo il 19 aprile 2006, nel primo
anniversario dell’elezione del Santo Padre Benedetto XVI al Supremo
Pontificato. Erano presenti tutti i membri della Conferenza
Episcopale e numerosi rappresentanti dello Stato. Per la Bosnia ed
Erzegovina firmò il Sig. Ivo Miro Jović, Membro della Presidenza
Collegiale; e per la Santa Sede l’Arcivescovo Alessandro D’Errico,
Nunzio Apostolico in Bosnia ed Erzegovina.
La reazione
dell’Ufficio dell’Alto rappresentante
Il
giorno successivo alla cerimonia della firma dell’Accordo,
l’Ufficio dell’Alto rappresentante della Comunità Internazionale
in Bosnia ed Erzegovina fece presente una difficoltà, che mai era
stata sollevata in precedenza. Cioè, che i dieci anni previsti
all’articolo 10 comma 3 dell'Accordo per la restituzione dei beni
della Chiesa a suo tempo nazionalizzati, sembravano troppo pochi,
perché una tale scadenza avrebbe potuto mettere a rischio il fragile
sistema economico del Paese. L’Alto Rappresentante proponeva
quindici anni come termine per la futura restituzione, anche perché
così era previsto da una Commissione interministeriale che stava
prepararando una proposta di legge sulla restituzione.
Il Protocollo
Addizionale e la ratifica
Durante
l’estate 2006 ci furono intense trattative con l’Ufficio
dell’Alto Rappresentante e le più alte Autorità del Paese, al
fine di risolvere questa difficoltà. Dopo aver consultato i Vescovi,
per evitare l’impressione che la Chiesa Cattolica fosse interessata
all’Accordo per questioni materiali, la Santa Sede rinunciò ad
ogni termine di scadenza, e si disse disposta a rimandare questo
aspetto della questione alla futura legge che dovrà regolare la
restituzione di tutti i beni nazionalizzati (e non soltanto quelli
della Chiesa Cattolica).
La
proposta della Santa Sede fu accettata e si giunse alla firma di un
Protocollo Addizionale come parte integrante dell’Accordo di Base.
Essa ebbe luogo il 29 settembre 2006 a Sarajevo, nella sede della
Nunziatura Apostolica. Anche il Protocollo Addizionale fu firmato dal
Sig. Ivo Miro Jović e dal Nunzio Apostolico Arcivescovo Alessandro
D’Errico. Tuttavia, in quella circostanza il medesimo
Rappresentante Pontificio fu incaricato di comunicare all’Alto
Rappresentante e alle Autorità del Paese che il Protocollo
Addizionale doveva essere considerato come un gesto di buona volontà
da parte della Santa Sede, e che ora essa auspicava vivamente che la
legge sulla restituzione potesse essere approvata in tempi brevi.
Dopo
il necessario iter parlamentare, nella seduta della Presidenza
collegiale svoltasi il 20 agosto 2007 all’unanimità fu presa la
deliberazione sulla ratifica dell’Accordo di Base e del Protocollo
Addizionale. La solenne cerimonia dello scambio degli strumenti di
ratifica ebbe luogo in Vaticano il 25 ottobre 2007, tra il Cardinale
Segretario di Stato Tarcisio Bertone e il Presidente di turno della
Presidenza Collegiale Sig. Željko Komšić.
Il contenuto
dell’Accordo
L’Accordo
di Base con la Bosnia ed Erzegovina è composto da un preambolo e 19
articoli. Come nella maggior parte dei Concordati o di simili Accordi
della Santa Sede con gli Stati, nel preambolo si menzionano alcuni
principi (e in particolare quello di autonomia ed indipendenza dello
Stato e della Chiesa, nonché quello della loro disponibilità alla
mutua collaborazione). Poi, nei 19 articoli si regolano la questione
della personalità giuridica delle istituzioni ecclesiastiche, il
libero esercizio della missione della Chiesa, la libertà di culto,
l’inviolabilità del segreto confessionale, la costruzione degli
edifici sacri, i giorni non lavorativi per i cattolici, il diritto di
acquistare possedere usufruire o alienare beni mobili e immobili,
l’organizzazione di strutture cattoliche educative ed
assistenziali, l’insegnamento della religione, il diritto ad avere
media propri e accesso a quelli pubblici. Secondo il
Protocollo Addizionale, la restituzione dei beni a suo tempo
nazionalizzati, sarà eseguita in conformità alla legge che regolerà
tale materia, anche per ciò che riguarda il periodo della loro
restituzione.
La questione dei
matrimoni
Le
varie bozze conservarono a lungo un articolo che prevedeva gli
effetti civili del matrimonio religioso, come di solito avviene in
simili Accordi della Santa Sede con gli Stati. Tuttavia, i Vescovi
locali chiesero che il matrimonio canonico non avesse effetti civili,
in considerazione della complessità multietnica e multireligiosa
della Bosnia ed Erzegovina, che consigliava di tener del tutto
separati i due fori in materia matrimoniale.
La Commissione Mista
per l’applicazione dell’Accordo
Per
una serie di circostanze, fino ad oggi (maggio 2009) l’Accordo di
Base – nonostante sia entrato in vigore nel 2007 – è rimasto al
livello dei principi. Da qualche mese si lavora intensamente per la
fase applicativa. L’avvio della fase applicativa fu al centro degli
incontri che il Segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli
Stati, l’Arcivescovo Dominique Mamberti, ebbe a Sarajevo durante la
sua visita Ufficiale di un anno fa (26 - 29 aprile 2008). In
particolare, egli propose che si formasse al più presto la
Commissione Mista prevista dall’Accordo di Base e dal Protocollo
Addizionale. La proposta fu ben accolta dalle Autorità di Sarajevo,
e il 29 luglio 2008 fu annunciata la formazione della Commissione
Mista.
Essa
è composta da dieci membri, con cinque rappresentanti per ciascuna
delle due parti. Il Ministro per i Diritti umani e i Rifugiati, Sig.
Safet Halilović è Co-Presidente per la parte statale (gli altri
quattro membri della Bosnia ed Erzegovina sono: il Ministro degli
Affari Esteri, Sig. Sven Alkalaj; il Ministro degli Affari Civili,
Sig. Sredoje Nović; il Ministro della Giustizia, Sig. Bariša Čolak;
il Vice-Ministro delle Finanze, Sig. Fuad Kasumović). Per la Santa
Sede il Co-Presidente è il Nunzio Apostolico, Arcivescovo Alessandro
D’Errico (gli altri membri sono: il Vescovo Ausiliare di Sarajevo,
Mons. Pero Sudar; il Segretario della Nunziatura Apostolica, Mons.
Waldemar Stanisław Sommertag; il Ministro Provinciale dei
Francescani di Erzegovina, Fra’ Ivan Sesar; il Prof. Don Tomo
Vukšić).
La
prima riunione della Commissione ebbe luogo il 17 dicembre 2008. Sin
ad oggi si sono avute tre riunioni; ne sono previste dieci per
quest’anno. La Commissione ha un mandato di due anni (fino al mese
di settembre del 2010). E’ stato concordato di lavorare in tre
aree: la prima riguarda le leggi applicative dell’Accordo; la
seconda si riferisce alla preparazione degli Accordi complementari
previsti dall’Accordo di Base; la terza concerne la legge sulla
restituzione dei beni a suo tempo nazionalizzati, per ciò che è di
competenza della Commissione (secondo quanto è stabilito dal
Protocollo Addizionale).
III
Contributo
dell’Accordo di Base
al dialogo
ecumenico e interreligioso
Vorrei ora
accennare all’importanza dell’Accordo in rapporto alla Comunità
ortodossa e a quella musulmana, nel contesto multietnico e
multiconfessionale del Paese.
Secondo
le stime dell’Agenzia per la Statistica di Bosnia ed Erzegovina,
oggi il Paese conta circa 3.843.000 abitanti, di cui il 13% sono
cattolici. Certamente è un Paese piccolo dal punto di vista
statistico. Tuttavia, tenendo conto della sua posizione geografica e
della secolare composizione multietnica e multiconfessionale della
popolazione, non c’è dubbio che si tratta di un Paese di notevole
importanza, al quale – come disse il Card. Bertone nel discorso
summenzionato – “la Santa Sede guarda con privilegiata
attenzione”. In esso tradizionalmente convivono tre popoli
costitutivi: i croati, i serbi e i bosniaci. I croati per lo più
sono cattolici, i serbi sono ortodossi e i bosniaci sono musulmani.
Così la linea che definisce l’appartenenza ad una Comunità
etnica, quasi regolarmente coincide anche con quella che riguarda la
fede religiosa. In questo Paese dunque s’incontrano, s’incrociano
e convivono tre popoli diversi e tre religioni differenti. I loro
appartenenti sono sparsi e spesso mescolati nei villaggi e nelle
città, anche se non dappertutto in misura eguale.
Vorrei
pure sottolineare che storicamente in Bosnia ed Erzegovina da secoli
coesistono anche tre culture e civilizzazioni diverse: quella
mediterranea e mittleuropea dei cattolici, quella ottomana dei
musulmani e quella orientale-bizantina degli ortodossi. E come
accade un po’ dappertutto dove si vive una vicinanza duratura di
elementi culturali diversi, anche in Bosnia ed Erzegovina è nato un
novum culturale: una società in cui – come scrisse uno
scrittore di prestigio (Miroslav Krleža) – “si sono mescolati
vino latino e olio bizantino”.
Questa
convivenza di elementi diversi non sempre è stata felice, e talvolta
ha portato ad aspri confronti e tensioni, come in epoca recente,
quando la guerra fratricida causò tanta distruzione e tanta
sofferenza. Ora, a quasi 14 anni dall’Accordo di Pace di Dayton,
resta ancora parecchio da fare, in termini di ricostruzione materiale
e morale. Dal nostro punto di vista sembra necessario pensare ancor
più e ancor meglio a come costruire una pace “giusta” e una
piena armonia sociale: una pace che garantisca ai singoli e ai popoli
costitutivi di esprimersi, rapportarsi, e avere un ruolo nel Paese al
meglio delle loro possibilità. Per giungere a ciò, pare necessario
un rinnovato dinamismo di riconciliazione tra tutte le parti sociali
(politiche, etniche e religiose). C’è da lavorare con fiducia e
rinnovata speranza, per un dialogo positivo e costruttivo,
specialmente oggi, quando sono in discussione questioni urgenti per
il presente e il futuro del Paese.
In
questa prospettiva, mi sembra importante il fatto che anche la Chiesa
ortodossa autocefala serba qualche mese fa abbia stipulato con la
Bosnia ed Erzegovina un Accordo per la Comunità ortodossa presente
nel Paese, molto simile all’Accordo con la Santa Sede. Anzi, non è
un mistero che l’Accordo con la Chiesa ortodossa si ispira in
moltissimi punti ad esso e si è generalmente d’accordo nel dire
che il nostro Accordo è servito da modello per la Chiesa Ortodossa,
nella sua ricerca di un quadro giuridico adeguato in Bosnia ed
Erzegovina.
Ma
non c’è solo questo! Quando si era giunti (nel 2007) alla
decisione presidenziale per la firma di questo Accordo con la Chiesa
ortodossa, le cose si complicarono per l’articolo che riguarda
l’insegnamento della religione nelle scuole. Il Sig. Komšić,
Membro della Presidenza Collegiale, all’inizio votò contro
quest’Accordo, già controfirmato dal Patriarca di Belgrado,
proprio a motivo della formulazione riguardante l’insegnamento
della religione ortodossa nelle scuole. Ebbene, su richiesta delle
Autorità ortodosse, fu proprio il Nunzio Apostolico ad
adoperarsi presso il Sig. Komšić per la soluzione della difficoltà.
Questi si disse disposto a cambiare il suo voto se l’articolo
controverso avesse riportato esattamente (e senza le aggiunte che si
erano sovrapposte) la formulazione dell’Accordo con la Santa Sede.
Così la questione fu risolta e si giunse alla firma dell’Accordo
con la Chiesa ortodossa. Ovviamente ne siamo felici, perché lo
spirito di dialogo ha portato buon frutto; e siamo fiduciosi che
anche questo gioverà alla crescita della fiducia reciproca e alla
collaborazione tra le due Comunità.
Per
quanto concerne la Comunità islamica di Bosnia ed Erzegovina, alla
fine del processo di elaborazione dell’Accordo di Base essa non era
contraria alla sua stipulazione. Tuttavia non pensava a un simile
Accordo con lo Stato, perché riteneva sufficiente la legge sulla
libertà religiosa e sullo stato giuridico delle Comunità religiose,
che ho sopra menzionato. Da qualche tempo però, anche la Comunità
islamica si è dichiarata interessata a un simile Accordo con lo
Stato, per meglio definire il quadro giuridico delle sue attività. E
se l’Accordo con la Santa Sede potrà servire da modello, di certo
la Comunità cattolica ne sarà ben contenta.
Devo
anche far menzione di un’altra questione, che spesso viene
sollevata; e cioè, quella che riguarda il livello di simili Accordi
tra lo Stato e le altre Comunità religiose. Certamente non si può
trascurare la differenza che viene dal fatto che solo nel nostro
Accordo ci sono due soggetti di diritto internazionale (la Bosnia ed
Erzegovina e la Santa Sede). Noi abbiamo detto e ripetiamo il nostro
vivo desiderio che anche le altre Comunità religiose possano vedere
ben definito il quadro giuridico della loro presenza nel Paese. Il
resto non dipende da noi. Intanto però vorrei far notare che, per il
principio di eguaglianza dei tre popoli costitutivi, proprio dalla
dimensione internazionale dell’Accordo di Base con la Santa Sede
vengono comunque ulteriori garanzie per tutte le Comunità religiose
nel Paese, ed anche per gli Accordi che saranno stipulati con esse,
perché comunque anche questi saranno connessi con il nostro
Accordo.
Consentitemi
di aggiungere ancora un elemento significativo per la prospettiva
ecumenica e interreligiosa. Dopo qualche perplessità iniziale (che
ho menzionato nella seconda parte di questa Relazione), la
stipulazione dell’Accordo di Base tra la Bosnia ed Erzegovina e la
Santa Sede è stata appoggiata da tutte le Comunità religiose e da
tutti i partiti politici. Così esso è stato sempre votato
all’unanimità in tutte le istanze del suo iter procedurale
- al Consiglio dei Ministri, alla Camera dei Rappresentanti (Camera
bassa), alla Camera dei Popoli (Camera alta) e alla Presidenza
collegiale. Qualcuno ha detto e scritto che l’Accordo di Base
costituisce un felice esempio della possibilità di dialogo e di
collaborazione in Bosnia ed Erzegovina. Il nostro augurio è che
questo esempio rafforzi la convinzione che è possibile anche oggi –
come in passato – una collaborazione costruttiva in Bosnia ed
Erzegovina, pur nella differenziazione multietnica e multireligiosa
che caratterizza il Paese, e pur tra le ferite che ancora sussistono
per la guerra recente.
Per
ciò che la Chiesa cattolica e la Santa Sede hanno contribuito per il
consolidamento dell’armonia sociale attraverso l’Accordo di Base,
siamo grati alla Provvidenza di Dio. Ma non ne facciamo un vanto,
perché anche nelle nostre attività a livello internazionale abbiamo
sempre presente l’insegnamento del Divin Maestro, che ci ha chiesto
di ripetere incessantemente: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto
quanto dovevamo fare” (Lc. 17,10).
Nessun commento:
Posta un commento