Lunedì
9 gennaio 2017, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico, Papa
Francesco ha indirizzato gli auguri del nuovo anno al Corpo
Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Alla numerosa assemblea
di Ambasciatori e di Personalità del mondo politico ed ecclesiastico
egli ha rivolto un discorso intenso, incentrato sul fondamentale tema
della pace. Il tema è stato sviluppato nella dimensione religiosa,
in relazione agli eventi storici e in rapporto con le problematiche
sociali e politiche dei popoli e degli stati. Evidenziando le
problematiche dei conflitti, dei migranti, delle giovani generazioni,
della dignità delle persone, il Papa ha indicato i compiti della
diplomazia e la necessità della solidarietà e del dialogo nelle
relazioni internazionali. Riporto alcuni brani significativi del suo
discorso recuperati dalla fonte pubblicata sul portale del Vaticano e
dal video realizzato dal CTV.
DAL
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Cari
Ambasciatori,
un
secolo fa, il mondo si trovava nel pieno del primo conflitto
mondiale. Una inutile
strage,
in cui nuove tecniche di combattimento disseminavano morte e
causavano immani sofferenze alla popolazione civile inerme. Nel 1917,
il volto del conflitto cambiò profondamente, acquisendo una
fisionomia sempre più mondiale mentre si affacciavano all’orizzonte
quei regimi totalitari che per lungo tempo sarebbero stati causa di
laceranti divisioni. Cent’anni dopo, tante parti del mondo possono
dire di aver beneficiato di periodi prolungati di pace, che hanno
favorito opportunità di sviluppo economico e forme di benessere
senza precedenti. Se per molti oggi la pace sembra, in qualche modo,
un bene scontato, quasi un diritto acquisito a cui non si presta più
molta attenzione, per troppi essa è ancora soltanto un lontano
miraggio. Milioni di persone vivono tuttora al centro di conflitti
insensati. Anche in luoghi un tempo considerati sicuri, si avverte un
senso generale di paura. Siamo frequentemente sopraffatti da immagini
di morte, dal dolore di innocenti che implorano aiuto e consolazione,
dal lutto di chi piange una persona cara a causa dell’odio e della
violenza, dal dramma dei profughi che sfuggono alla guerra o dei
migranti che periscono tragicamente.
Vorrei
perciò dedicare l’incontro odierno al tema della sicurezza e della
pace, poiché nel clima di generale apprensione per il presente e
d’incertezza e di angoscia per l’avvenire, nel quale ci troviamo
immersi, ritengo importante rivolgere una parola di speranza, che
indichi anche una prospettiva di cammino.
[...]
In
tale prospettiva esprimo il vivo convincimento che ogni espressione
religiosa sia chiamata a promuovere la pace. L’ho potuto
sperimentare in modo significativo nel corso della Giornata Mondiale
di Preghiera per la Pace, tenutasi ad Assisi nel settembre scorso,
durante la quale i rappresentanti delle diverse religioni si sono
trovati per «dar voce insieme a quanti soffrono, a quanti sono senza
voce e senza ascolto», come pure nel corso della mia visita al
Tempio Maggiore di Roma o alla Moschea di Baku.
[...]
In
pari tempo, è opportuno non dimenticare le molteplici opere,
religiosamente ispirate, che concorrono, talvolta anche con il
sacrificio dei martiri, all’edificazione del bene comune,
attraverso l’educazione e l’assistenza, soprattutto nelle regioni
più disagiate e nei teatri di conflitto. Tali opere contribuiscono
alla pace e danno testimonianza di come si possa concretamente vivere
e lavorare insieme, pur appartenendo a popoli, culture e tradizioni
differenti, ogniqualvolta si colloca al centro delle proprie attività
la dignità della persona umana.
[...]
Al
riguardo, accolgo con interesse l’iniziativa del Consiglio d’Europa
sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale, che lo scorso
anno ha messo a tema il ruolo dell’educazione nella prevenzione
della radicalizzazione che conduce al terrorismo e all’estremismo
violento. Si tratta di un’opportunità per approfondire il
contributo del fenomeno religioso e il ruolo dell’educazione a una
vera pacificazione del tessuto sociale, necessaria per la convivenza
in una società multiculturale.
In
tal senso, desidero esprimere il convincimento che ogni autorità
politica non debba limitarsi a garantire la sicurezza dei propri
cittadini – concetto che può facilmente ricondursi ad un semplice
“quieto vivere” – ma sia chiamata anche a farsi vera promotrice
e operatrice di pace. La pace è una “virtù
attiva”,
che richiede l’impegno e la collaborazione di ogni singola persona
e dell’intero corpo sociale nel suo insieme. Come osservava il
Concilio Vaticano II, «la pace non è mai qualcosa di raggiunto una
volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente»,
tutelando il bene delle persone, rispettandone la dignità.
Edificarla richiede anzitutto di rinunciare alla violenza nel
rivendicare i propri diritti. Proprio a tale principio ho voluto
dedicare il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2017,
intitolato: «La
nonviolenza: stile di una politica per la pace»,
per richiamare anzitutto come la nonviolenza sia uno stile politico,
basato sul primato del diritto e della dignità di ogni persona.
[...]
Sono
convinto che per molti il Giubileo straordinario della Misericordia
sia stata un’occasione particolarmente propizia anche per scoprire
la «grande e positiva incidenza della misericordia come valore
sociale».
Ciascuno può così contribuire a dare vita ad «una cultura
della misericordia,
basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri: una cultura in
cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo
quando vede la sofferenza dei fratelli». Solo così si potranno
costruire società aperte e accoglienti verso gli stranieri e, nello
stesso tempo, sicure e in pace al loro interno. Ciò è tanto più
necessario nel tempo presente, in cui proseguono senza sosta in
diverse parti del mondo ingenti flussi migratori. Penso in modo
particolare ai numerosi profughi e rifugiati in alcune zone
dell’Africa, nel Sudest asiatico e a quanti fuggono dalle zone di
conflitto in Medio Oriente.
[...]
Un
approccio prudente da parte delle autorità pubbliche non comporta
l’attuazione di politiche di chiusura verso i migranti, ma implica
valutare con saggezza e lungimiranza fino a che punto il proprio
Paese è in grado, senza ledere il bene comune dei cittadini, di
offrire una vita decorosa ai migranti, specialmente a coloro che
hanno effettivo bisogno di protezione. Soprattutto non si può
ridurre la drammatica crisi attuale ad un semplice conteggio
numerico. I migranti sono persone, con nomi, storie, famiglie e non
potrà mai esserci vera pace finché esisterà anche un solo essere
umano che viene violato nella propria identità personale e ridotto
ad una mera cifra statistica o ad oggetto di interesse economico.
[...]
I
bambini e i giovani sono il futuro, sono coloro per i quali si lavora
e si costruisce. Non possono venire egoisticamente trascurati e
dimenticati. Per tale ragione, come ho richiamato recentemente in una
lettera inviata a tutti i Vescovi, ritengo prioritaria la difesa dei
bambini, la cui innocenza è spesso spezzata sotto il peso dello
sfruttamento, del lavoro clandestino e schiavo, della prostituzione o
degli abusi degli adulti, dei banditi e dei mercanti di morte.
[...]
La
pace, invece, si conquista con la solidarietà. Da essa germoglia la
volontà di dialogo e la collaborazione, che trova nella diplomazia
uno strumento fondamentale. Nella prospettiva della misericordia e
della solidarietà si colloca l’impegno convinto della Santa Sede e
della Chiesa cattolica nello scongiurare i conflitti o
nell’accompagnare processi di pace, di riconciliazione e di ricerca
di soluzioni negoziali agli stessi. Rincuora poter vedere che alcuni
tentativi intrapresi incontrano la buona volontà di tante persone
che, da più parti, si adoperano attivamente e fattivamente per la
pace.
[...]
Cari
Ambasciatori,
la
pace è un dono, una sfida e un impegno. Un dono perché essa sgorga
dal cuore stesso di Dio; una sfida perché è un bene che non è mai
scontato e va continuamente conquistato; un impegno perché esige
l’appassionata opera di ogni persona di buona volontà nel
ricercarla e costruirla. Non c’è, dunque, vera pace se non a
partire da una visione dell’uomo che sappia promuoverne lo sviluppo
integrale, tenendo conto della sua dignità trascendente, poiché «lo
sviluppo è il nuovo nome della pace», come ricordava il beato Paolo
VI. Questo è dunque il mio auspicio per l’anno appena iniziato:
che possano crescere fra i nostri Paesi e i loro popoli le occasioni
per lavorare insieme e costruire una pace autentica.
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